ROMAGNA. NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE / 20 / La crudele “Fagiolata” per colpire le ragazze che non riuscivano o si sottraevano al dovere di trovare moroso

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Nel numero precedente di questa Rubrica, trattando delle tradizioni di Carnevale, abbiamo detto che quel periodo festivo e celebrativo era ritenuto fra i più importanti riguardo alle occasioni (balli, festini, l’usanza da parte di diverse famiglie di ospitare una parente in età da marito per consentirle di conoscere nuovi giovani e pretendenti, ecc.) in cui si poteva e voleva favorire l’incontro tra ragazzi e ragazze in età di fidanzarsi.

Insomma, in quel momento di simbolico rinnovamento del tempo, con l’intento di addivenire a un concomitante rinnovamento della comunità e dei suoi ranghi, si adeguavano le regole inerenti l’incontro tra i sessi onde favorire la nascita di nuove coppie e famiglie. Ma non sempre l’intento riusciva: c’erano ragazze che, per vari motivi, non trovavano uno spasimante o un fidanzato neppure in quell’occasione, e di ciò finivano per essere «incolpate» avendo, agli occhi della cultura popolare dell’epoca, mancato di adempiere a una sorta di dovere femminile che le regole sociali indicavano e quasi imponevano.

Carnevale

Per questo tali presunte «inadempienti» venivano spesso colpite dal crudele smacco di una forma particolare di charivari, parola che abbiamo già trovato trattando delle tradizioni di San Martino e della condanna pubblica dei «cornuti», e che significa un rito eclatante con cui la comunità – o qualcuno dei suoi membri – indicava e sanzionava chi non avesse ottemperato alle sue regole o le avesse trasgredite.

Una forma particolare di charivari – vi mancano il concorso della folla rumoreggiante e l’aspetto collettivo: viene messo in atto in segreto e mette la vittima di fronte al fatto compiuto, prestandosi così anche a vendette private – era quella della cosiddetta «fagiolata» (in romagnolo fasuléra o fasulêda). Era praticata subito dopo la fine del Carnevale e, come premesso, colpiva quelle ragazze che nei giorni dedicati ai festini, ai balli, ai corteggiamenti e ai fidanzamenti non avessero voluto o potuto adeguarsi al «dovere» dell’amoreggiamento, disattendendo così l’imperante esigenza della formazione di nuove coppie.

Lui e lei

In Romagna le ragazze che si sottraevano ai corteggiamenti (o che, per il loro atteggiamento, non ne ricevevano) all’alba della Quaresima venivano dunque fatte oggetto di una «punizione» che, esponendo allo scherno e alla pubblica riprovazione, lasciava il segno sia dal punto di vista psicologico sia da quello sociale e rappresentava un intervento di sottolineatura, o di pressione, o punitivo della comunità nei riguardi di un comportamento ritenuto inopportuno o deviante. Diverse sono le testimonianze in proposito contenute nei materiali dell’Inchiesta napoleonica del 1811 sulle tradizioni e superstizioni; vediamo di seguito brani di quella redatta dal parroco di Mezzano di Ravenna:

«Succede d’ordinario che alcuni discoli giovenastri, per vendicarsi dei quelle giovani che nel Carnevale non si sono fatte le spose, o pure, che hanno ricusato di trattenersi in amicizia, e buona corrispondenza, nella notte che precede la domenica, spargono avanti la porta della casa della giovane una quantità di fagioli, miglio, fiengreco, penna, lana, stracci, ed anche delle corna di bestie, e di castrati, e si estendano per tutta la contrada, sino quasi alla porta della chiesa, acciò il popolo portandosi di buon mattino alla chiesa sappia che la tal giovine non si è fatta la sposa perché ha cattivo credito, perché è brutta, e questa operazione si chiama fagiolata, che in buon senso, e secondo il pensare del volgo denigra la riputazione, e buon nome della giovane, spargendovi alle volte anche del sale, denotando, che è meglior espediente, che se la sali, non volendola alcuno» (In Tradizioni popolari nella Romagna dell’Ottocento, a cura di B. Garavini, Imola 2007, pp. 267-268).

Per il parroco di San Pietro in Campiano (Ravenna) ad essere colpite dalla «fagiolata» erano le ragazze che si trattenevano troppo a lungo (si sottintende: infruttuosamente) «in parente» nel periodo dei festini di Carnevale (Ivi, p. 245). Il parroco di Collina (Forlì) vuole la fagiolata riservata a «quelle giovani, che far pretendono le galanti, e che trovato non hanno marito nello scaduto carnevale» (Ivi, p. 123). Lo stesso è affermato da quello di San Nicolò di Meldola (Ivi, p. 158), da quello di Santa Maria in Borgo di Civitella (Ivi, pp. 191-192). Per quello di Pievequinta, a essere colpite sono «le ragazze trasandate» (Ivi, p. 130).

Nella relazione conclusiva dell’Inchiesta nel Dipartimento del Rubicone, il prefetto Staurenghi afferma che il momento della «fagiolata», pur mantenendo la sua collocazione calendariale, individuava anche bersagli diversi, colpendo una ragazza che fosse in lite o in rottura del rapporto col proprio partner (Ivi, p. 312), a testimonianza del fatto che i modelli di charivari più vecchi e consolidati poterono essere applicati anche in forme nuove e dilatate, già all’epoca conviventi con modelli più antichi. Secondo Francesco Balilla Pratella, che interviene sull’argomento nella prima metà del Novecento, la «fagiolata» poteva rappresentare una punizione popolare inflitta a una ragazza di costumi troppo disinvolti, o macchiatasi di altre presunte «colpe» (F.B. Pratella, Poesia, narrazioni e tradizioni popolari in Romagna, Ravenna 1974, II, p. 156).

Fagiolata

Insomma in diverse fonti, e soprattutto nelle più recenti, la casistica di questa forma di charivari risulta ampliata, forse per aggiunte più tarde e ormai completamente svincolate da antiche derivazioni e ipotetici intenti originari, e a volte ne scompare la collocazione calendariale solita (fine Carnevale o inizi Quaresima). Inoltre le casistiche delle «colpe» attribuite alle vittime si diversificano e mutano. In ogni caso troviamo, nella condanna alle ragazze «civette» o troppo sfacciatamente in cerca di marito, a quelle che lasciano un moroso o ne tradiscono le aspettative, ecc., i motivi tipici di una società demograficamente più matura, in cui hanno assunto un peso maggiore valori riconducibili al senso del pudore, alla morale corrente e a quella cattolica e, ancora e molto di più, i segni crudeli delle vendette private e delle gelosie individuali in occasione degli abbandoni e della rottura di fidanzamenti o delle promesse amorose, oltre ai segni del controllo sociale instancabile e crudele soprattutto nelle piccole comunità, quelle in cui non erano tollerate la presunzione ritenuta immotivata e molti altri comportamenti.

La «fagiolata», come abbiamo detto, veniva messa in atto di norma agli inizi della Quaresima, il lungo periodo di magra che faceva rimpiangere le licenze e l’abbondanza carnevalesche. Ma in diverse aree, Romagna compresa, non sono mancate forme di irruzione del Carnevale in Quaresima, principalmente con la festa e tradizione della Segavecchia, di cui diremo a tempo opportuno. Né sono mancati intenti posti tra l’ironico, il dissacrante e il ribelle, come quelli che hanno portato, poco più di un secolo fa, a far nascere la tradizione del Carnevale di San Grugnone a Conselice di Ravenna, che ha luogo il Mercoledì delle Ceneri.

San Grugnone

Una immagine del Carnevale di San Grugnone (Conselice)

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