La protesta dei medici di famiglia. Dott. Morini di Faenza: “tra scartoffie e l’ira dei pazienti, lavoriamo 12-13 ore al giorno”

Dopo la lettera-appello pubblicata ieri e firmata da oltre 200 medici di medicina generale che lavorano in convenzione con l’Ausl Romagna, nella quale si denunciavano condizioni lavorative insostenibili, spesso poco comprese dagli assistiti, abbiamo parlato con il dottor Daniele Morini, che esercita a Faenza ed è il portavoce di questa protesta partita dal basso.

Dott. Morini, come è nata questa protesta?

Quella lettera è un vero e proprio grido di dolore, nato da professionisti che hanno scelto consapevolmente il lavoro che svolgono e che vorrebbero poterlo svolgere fino in fondo, senza essere oberati dalle mille incombenze burocratiche che ci sono piovute addosso dall’inizio della pandemia in avanti.

In altre regioni d’Italia sono nate le “Coccarde gialle”, aderite anche voi a questo movimento?

Le motivazioni sono analoghe, ma quello è un gruppo più strutturato. La nostra protesta locale nasce dagli “incontri online della domenica”, occasioni di confronto tra colleghi, in cui si respirava la profonda insoddisfazione per le condizioni di lavoro alle quali siamo sottoposti e, non le nascondo, anche il desiderio condiviso da molti, di abbandonare il lavoro. Sarebbe più facile e più redditizio andare a lavorare nelle Usca, come medici vaccinatori, guardia medica… Se ci siamo ribellati pubblicamente è proprio perché amiamo quello che facciamo e vogliamo difenderlo.

Che cosa chiedete?

Il nostro problema principale è che lavoriamo in maniera invisibile. Tutti pensano che il nostro lavoro si concluda con le ore dichiarate di ambulatorio, invece oggi ne lavoriamo fino a 12 o 13 al giorno. Ma non tutte per fare attività clinica: siamo schiacciati da un monte di burocrazia inutile. Ogni positivo al Covid 19 ha un dispositivo emesso dall’Ufficio di Igiene Pubblica che dovrebbe bastare per richiedere il certificato all’Inps. In Inghilterra, per dire, è così. Qui invece, occorre passare da noi e con l’impatto della variante Omicron è diventato tutto ingestibile.

Ci faccia degli esempi

Le faccio dei numeri, per capirci: dal 6 gennaio a domenica 23, io ho avuto 238 persone positive tra i miei pazienti. La stragrande maggioranza, per fortuna, sta bene, ma comunque significa qualcosa come 17 ore di certificati a settimana. Dall’inizio della pandemia, l’attività ambulatoriale è più che raddoppiata, se a questo ci aggiungiamo le certificazioni inutili, non è più possibile seguire adeguatamente i pazienti. Siamo stati travolti da uno tsunami di telefonate: io, per esempio, ho sempre lavorato con una media di 35 contatti al giorno (tra telefonate e visite). Dalla pandemia, viaggiamo da 80 a 120 al giorno. I miei contatti di agosto, un periodo in cui il Covid impattava molto poco, per altro, sono stati 2.033, che divisi per i giorni lavorativi fa 103 al giorno. Ce la stiamo mettendo tutta, i pazienti sono imbestialiti con noi perché non rispondiamo al telefono, ma non è possibile fare più di così. Io ho deciso di non rispondere durante le visite, è inaccettabile interrompere un paziente che ti sta davanti ogni 2 minuti.

I firmatari della lettera sono tutti giovani medici, è così?

Sì, siamo principalmente medici di base sotto i 40 anni, tutta gente che deve lavorare ancora 20-30 anni e ci teniamo ad organizzare bene il nostro lavoro. Ci dicono che siamo una categoria privilegiata e che ci lamentiamo, ma noi abbiamo scelto questa professione perché crediamo in un sistema sanitario universalistico, che garantisce ai cittadini le cure: così però non ce la facciamo, non è la volontà di arroccarsi dietro la nostra scrivania.

C’è anche il problema della carenza dei medici e quindi dell’alto numero di assistiti in carico ad ognuno, ce lo spieghi meglio

Per disposizioni regionali, ogni medico poteva avere fino a 1.500 pazienti, ma nei primi tempi dell’esercizio della professione, poteva autolimitarsi a 1.000. Ora Ausl ha sbloccato il massimale e chi ne aveva 1.000 in poche settimane si ritrova con 500 pazienti in più. Il punto è che in Ausl Romagna mancano 70 medici di base, che coprirebbero 105.000 pazienti. Con il primo sblocco si sono coperti circa 16.000 pazienti, ma ne servono molti di più. Ci aspettiamo a breve un ulteriore sblocco dai 1.500 attuali, a 1.800-2.000. Ma con il sistema attuale non sono assistibili, bisogna modificarlo. I medici in età da pensione scappano e i giovani non sono attratti da questa carriera a queste condizioni.

Quali modifiche servirebbero?

In Inghilterra un medico ha anche 2.500 assistiti, ma lavora meno di quanto facciamo noi, perché gli ambulatori sono strutturati diversamente, con impiegati amministrativi, infermieri e molto altro. Noi chiediamo un’organizzazione analoga, ma servono delle leggi e un sostegno economico.