Ruggero Sintoni (Accademia Perduta): due incontri fatali e un grande amore, il teatro

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Ruggero Sintoni, classe ’55, si fa precedere da una certa fama, costruita con una carriera quasi quarantennale nel teatro e, soprattutto, dalla sua vociona inconfondibile. Dopo un percorso scolastico piuttosto variegato e buffo, poco più che ventenne fa l’incontro della vita con il Living Theatre, che libera la sua passione per il teatro. Di lì a poco l’altro incontro fatale: quello che dà il via al sodalizio con Claudio Casadio. 

 

Mi riceve nei suoi uffici presso il Teatro Goldoni di Bagnacavallo. Lui vive un po’ da queste parti, in Palazzo Capra, e poi in un vecchio piccolo mulino del ‘600 a San Leo, colline del Montefeltro. Ma soprattutto calca teatri. Lui e Accademia Perduta ne gestiscono sei e sono impegnati nella direzione artistica di altri due in Romagna. E poi ci sono le tournée, con gli spettacoli portati in scena in giro per l’Italia. Senza dimenticare il teatro per ragazzi con il quale lui e il suo compagno professionale Claudio Casadio sono nati. Una vita sotto i riflettori. Anche se lui preferisce stare ormai sotto il palco. A differenza di Claudio, che sta sempre di più on the stage e con successo. L’ufficio è piccolo, con certi tubi a vista, e mi spiega il perché, ridendo.

 

 

L’INTERVISTA

“Questi erano i gabinetti della casa del custode del teatro. Il Comune voleva un presidio fisso qui al Goldoni, perché un teatro è vivo soprattutto se qualcuno lo vive, c’è dentro. Per cui abbiamo ristrutturato la vecchia abitazione del custode e questo era, appunto, il cesso.”

 

Per te tutto comincia con un incontro fatale, come nelle favole.

“Sì. Ho incontrato il Living Theatre e sono scappato di casa. Li ho seguiti in giro per l’Italia. Poi loro andarono in Israele ma per seguirli anche là avevo bisogno di permessi che non potevo procurarmi su due piedi. Allora mi sono fermato, per pensare a cosa fare della mia vita.”

 

E poi?

“Ho deciso di fare l’Accademia di Arte Drammatica.”

 

Quindi un incontro bello pregnante con il Living?

“Sì, certo. Ancora oggi ci penso molto. Mi ha segnato quell’incontro, perché loro mi hanno instillato l’onestà intellettuale con cui ho poi sempre affrontato il mestiere e mi hanno fatto capire che non bisogna avere pregiudizi.”

 

Tipo teatro alto e basso. Oppure teatro impegnato e leggero… cose così. Mentre per te il teatro è teatro e basta?

“Sostanzialmente sì. Però anche nel nostro campo ci sono dei limiti sindacali.”

 

 

 

Qual è il minimo sindacale per te?

“La ricerca della verità. Il bisogno di raccontarsi veramente, di mettersi in gioco. Gli artisti del teatro sono ancora fra i pochissimi costretti a mettersi in gioco. Non lo fa il mondo del cinema o della tv, nè quello della politica o delle banche…”

 

Posso assicurarti che non lo fa nemmeno il mondo dell’informazione.

“Non volevo dirlo. Nel mondo del teatro c’è ancora grande onestà intellettuale e umana. Spesso lavoriamo senza contratti, con accordi verbali. Fatti all’ultimo. Ma il teatro va avanti, perché è fatto da gente molto perbene che ci mette l’anima.”

 

Com’è lo stato dell’arte del nostro teatro?

“L’Emilia-Romagna è una terra ricchissima da un punto di vista teatrale. Si va dalla compagnia di operetta di Corrado Abbati alla Raffaello Sanzio. E in mezzo c’è di tutto. Se ci mettiamo intorno a un tavolo a parlare di poetica e di linguistica teatrale, forse rischiamo di litigare, ma se parliamo di sostenibilità dei progetti e del sistema teatro, c’è una grande coesione fra noi che facciamo il mestiere. Facciamo sindacato in qualche modo. Se ci fosse nel PD nazionale tutta la coesione che c’è fra noi gente di teatro, sarebbe un partito del 50 per cento. Comunque, la nostra Regione è quella che sul teatro dal vivo ha investito di più. E lo ha fatto anche in condizioni drammatiche, come quando siamo stati colpiti dal terremoto. Mentre altre regioni hanno tagliato i fondi alla cultura e al teatro, la Regione Emilia-Romagna non l’ha fatto.”

 

Quindi il tuo è un plauso alla politica.

“Sì. Perché quando la politica fa scelte giuste, queste scelte alla politica vanno riconosciute tutte. Ma si tratta di scelte fatte anche perché c’è una forte istanza che viene dal mondo del teatro. Gli amministratori hanno fatto bene. Noi li abbiamo aiutati a fare bene. Senza portare via nulla a loro.”

 

E qual è la situazione del teatro in Italia?

“Il teatro ha subito un cambiamento profondo con la riforma del 2014, che ha riequilibrato certe situazioni e aiutato a correggere rendite di posizione eccessive. La legge ha messo in campo nuovi parametri d’analisi di quantità e molti si sono lamentati di questo. Ma grazie a questi nuovi algoritmi sia noi, sia Ravenna Teatro, l’altro grande centro di produzione della Romagna, abbiamo avuto un forte incremento, riallineandoci al resto del sistema teatrale nazionale. E questo è giusto. Ora poi è in discussione la nuova legge dello spettacolo, spero vada presto in porto, forse entro l’estate, perché una legge nel settore manca da 70 anni in questo Paese.”

 

Torniamo indietro un attimo. Io ricordo sempre Ruggero Sintoni e la sua voce. Un binomio inscindibile. Quand’è che ti sei ritrovato questa voce così profonda e impostata? L’hai costruita ad arte così?

“Non lo so. Non l’ho fatto apposta. È un difetto di natura. È una voce ipertimbrica. Ho delle corde vocali grosse come le dita di una mano. Ti dico solo questa: quando mi hanno operato alle corde vocali, si sono raccomandati di non fumare e di lasciarle riposare per un po’, io invece ho acceso la prima sigaretta il giorno dopo, perché queste cordacce non hanno paura di niente.”

 

Parliamo di un altro incontro fatale e di un altro binomio indistruttibile: quello con Claudio Casadio. Da quando vi conoscete?

“Da 37 anni. Dal 1980 circa.”

 

Dove vi siete incontrati?

“Ai tempi dell’Accademia di Arte Drammatica e del movimento bolognese. E abbiamo pensato subito di fare una compagnia teatrale. Era un momento magico per creare qualcosa. Oggi parliamo tanto di start up. Noi ne facemmo due, allora. La prima se la inventò il Comune di Lugo con il Sindaco Randi, che ci affiancò Taglioni, ci produsse e poi ebbe un ritorno grazie alle tournée degli spettacoli. L’altra se la inventarono i comunisti di Bussecchio, quelli della Casa del Lavoratore alla periferia di Forlì. Avevano appena terminato il loro teatro nella Casa del Popolo e ce lo affidarono. Capisci, lo affidarono a due ventenni…”

 

Beh, dei matti. Scherzi a parte, voi, tu e Claudio, all’epoca eravate un po’ matti, facevate un sacco di cose, le più varie e strane. E loro si sono fidati di voi…

“Questa è la chiave. Il fatto di fidarsi di due matti può capitare proprio quando si fanno le cose con passione. E loro, i comunisti di Bussecchio, la passione l’avevano: erano operai, muratori, impiegati, e nel tempo libero avevano costruito un teatro e poi ce lo avevano affidato. Loro hanno riconosciuto la nostra passione e si sono fidati di noi. Fra l’altro, con questa operazione, hanno creato le premesse per la riqualificazione di tutto il quartiere. Allora la zona di Via Cerchia attorno all’aeroporto era un quartiere operaio, povero e marginale, oggi è uno dei quartieri residenziali più ambiti di Forlì. Hanno fatto un’operazione culturale e urbanistica di grande intelligenza.”

 

 

 

Da dove è nato il nome Accademia Perduta?

“Quando stavamo facendo ancora l’Accademia, siamo finiti in tv con Ivan Cattaneo, a Discoring. Allora in Accademia ci dissero che se eravamo già in grado di andare in tv, non avevamo più bisogno di loro. Insomma, rischiammo di essere buttati fuori. Chiedemmo scusa. Restammo. Ma ci venne l’idea di quel nome, una volta finita l’Accademia. Così, per scherzo.”

 

Voi avete fatto di tutto di più. Per voi vale lo slogan della pubblicità della Rai di qualche anno fa.

“Dipende tutto dall’autenticità. Dal come fai le cose. Senza pregiudizi. Noi abbiamo portato il teatro nelle discoteche. Lo si fa ancora oggi. Continuano a farlo. Quando lo facevamo noi nel 1980, nelle discoteche delle Case del Popolo o delle Feste dell’Unità, era una cosa da pionieri. Da lì siamo passati al teatro per ragazzi, fatto come se fosse un teatro di serie A, non teatro minore. Poi Claudio ha fatto perfino il cinema.”

 

Come giudichi questa sua nuova carriera? Tu hai scelto invece di stare solo dietro le quinte. Di fare l’impresario…

“Io preferisco dire che sto sotto il palco, non dietro le quinte. Ho fatto un master alla Bocconi per questo. Claudio ha fatto una bella carriera di attore. E parliamo molto di queste cose. Sono stato io che ho suggerito a Giorgio Diritti di andare a vedere Claudio a teatro in Pollicino. Diritti era molto scettico. Poi quando l’ha visto mi ha chiamato subito e mi ha detto: con quella faccia così scolpita, è un uomo del mio cinema. Sicuramente farà una parte. Poi Claudio ha fatto il protagonista.”

 

E dopo Massimo Carlotto l’ha visto in L’uomo che verrà e ha scritto un pezzo di teatro per lui, Oscura Immensità.

“Sì. Lo abbiamo proposto a Emilia Romagna Teatro e ad Alessandro Gassmann e lui ci ha subito risposto dicendo, lo produciamo insieme. Poi Carlotto ha scritto un altro testo, Il mondo non mi deve nulla. Ora sta scrivendo un monologo per lui.”

 

Veniamo alle produzioni degli ultimi anni. Sfide importanti e di qualità.

“Abbiamo fatto tre produzioni in quattro anni. Le due di Carlotto e poi Mar del Plata di Claudio Fava. Un teatro che racconta pezzi di umanità e restituisce verità. Una forma di teatro civile, quasi una forma di teatro documentario.”

 

Cosa è cambiato per voi con queste importanti produzioni?

“Accademia Perduta ha sempre fatto piccoli ma significativi salti di qualità. Ora questo nuovo salto è molto importante. E siamo in un momento delicato, perché ora ci arrivano un sacco di proposte da parte di persone e gruppi che vogliono produrre con noi. Vedi tutte queste carte sparse qua intorno (sul tavolo, sugli scaffali, ndr), sono tutte proposte di lavoro. Sia io che Claudio passiamo tutto il tempo a leggere copioni, testi, proposte. È un periodo bellissimo. Ce ne fossero. I teatri stanno funzionando molto bene. Abbiamo teatri di provincia che stanno facendo numeri incredibili. Sono sempre pieni. Teatri che sono diventati parte dell’identità cittadina, del senso di appartenenza dei cittadini alla comunità. Ce lo dicono le indagini fatte per esempio a Cervia e a Faenza.”

 

Quali teatri gestite attualmente?

“Il Masini di Faenza, il Goldoni di Bagnacavallo, il Comunale di Cervia, Il Piccolo di Forlì, il Dragoni di Meldola, il Teatrino di Pietracuta di San Leo e poi abbiamo la direzione artistica del teatro di Santa Sofia e della stagione di prosa al Diego Fabbri di Forlì.”

 

Quanti dipendenti avete e qual è il vostro fatturato?

“Accademia Perduta oggi ha 69 dipendenti: è una media industria (ride, ndr). Il nostro fatturato è di circa 3 milioni di euro, costituito da incassi, contributi dello Stato, della Regione e degli Enti locali.”

 

Voi avete anche prodotto e in qualche modo lanciato artisti e gruppi che poi si sono fatti strada… a proposito di start up.

“È sempre stata una nostra caratteristica. Abbiamo accompagnato la crescita di giovani talenti da Emma Dante a Marco Paolini, giusto per fare due nomi importanti. E poi gruppi di teatro per ragazzi.”

 

Tu, Claudio e la politica. Voi siete sempre stati vicini alla sinistra. Ne hai già parlato, quando hai raccontato delle Feste dell’Unità e dei comunisti di Bussecchio. Ma come definiresti il vostro rapporto con la politica e quello del teatro più in generale con la politica?

“Non è un mistero per nessuno che veniamo dal Movimento Studentesco e da storie di sinistra. Credo però che i progetti culturali più seri e autentici sopravvivano ai cambiamenti e non subiscano le influenze positive o negative della politica. Faccio l’esempio di Meldola, dove per un sacco di anni abbiamo gestito il teatro con una Giunta di sinistra. Poi l’amministrazione ha cambiato colore ma con il nuovo Sindaco di centrodestra c’è un idillio. Lui ha capito che se eravamo al Dragoni da 25 anni c’erano delle ragioni valide, le ha volute conoscere e poi se ne è innamorato. E insieme ci siamo inventati questa novità del teatro per ragazzi il sabato sera, per le famiglie, con la possibilità anche di cenare. Un qualcosa di unico e irripetibile.”

 

C’è un teatro che ami particolarmente, fra quelli in cui siete di casa?

“I teatri sono come gli amanti. Ognuno ha delle sue caratteristiche e io li amo tutti. Il Masini è un trionfo del neoclassico ed è uno dei teatri più belli d’Europa, non lo dico io ma Frigerio, lo scenografo di Strehler. Amo il Goldoni con la sua incredibile acustica. L’austerità del Dragoni. Il Comunale di Cervia è un gioiello immerso nell’acqua e nel sale…”

 

Invece parlami di un attore o di un’attrice o di un regista, qualcuno che ha lasciato il segno?

“La donna che ha lasciato il segno più grande nella mia vita di teatro è stata Franca Rame. Per anni ho lavorato con loro, lei e Dario Fo. Sono stati incredibilmente generosi. Il loro modo di restituire mi ha sempre colpito. Soprattutto quello di Franca. Ricordo un episodio, in particolare. Eravamo al Masini, c’erano lei, Dario e Giorgio Albertazzi. Lei mi chiese con forza per quanto tempo era rimasto chiuso il Masini per i lavori di restauro. Una volta sul palco, lei a un certo punto interrompe lo spettacolo nella costernazione generale, dicendo che non riesce a proseguire…”

 

E invece?

“Invece comincia a ricordare e a raccontare dell’ultimo spettacolo suo e di Dario Fo al Masini, prima della chiusura, con poche centinaia di spettatori. E si dice entusiasta nel vedere ora il Masini restaurato e strapieno, e Dario Fo sul palco, dopo che aveva vinto il Nobel tre mesi prima. Scusate sono troppo commossa, aggiunge, non riesco ad andare avanti. Ovazione per venti minuti… Ecco, lei era così.”

 

Quali sono i prossimi progetti?

“L’anno prossimo riprendiamo Il mondo non mi deve nulla di Carlotto con Claudio e Pamela Villoresi e anche Mar del Plata di Fava. Sono entrambi spettacoli che fanno la terza stagione e quindi vuol dire che stanno andando molto bene. Stiamo programmando le prossime stagioni dei nostri teatri e stiamo litigando moltissimo – ma ci divertiamo – perchè stanno venendo molto bene. Molti artisti continuano a venire nei nostri teatri a debuttare. Continueremo a fare molte collaborazioni, perché è nel nostro dna. Ecco, siamo sempre noi, con i nostri progetti, uomini di teatro sempre in movimento.”

 

A cura di P. G. C.

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