Festa Nazionale dell’Unità a Ravenna. Amore e odio fra Fico e la platea del Pd nel duello con Delrio

Fico è accarezzato da molti elettori Pd e di sinistra, perchè lo sentono vicino. Ma resta un grillino e, alla lunga, è difficile da digerire qui e ora, quando c'è tutti i giorni da bere l'amaro calice del governo Salvini - Di Maio - Conte

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Era uno degli incontri più attesi della Festa Nazionale dell’Unità di Ravenna quello fra Roberto Fico Presidente della Camera e Graziano Delrio Presidente del Gruppo Pd alla Camera. E non ha deluso le attese. Da una parte l’anima movimentista e di “sinistra” del M5S. Dall’altra un ex ministro molto stimato, un uomo del Pd già molto vicino a Renzi, ora fuori dagli schemi correntizi. L’incontro è vivace, a tratti frizzante, anche per alcune intemperanze e punzecchiature a Fico da parte del pubblico. La platea, foltissima, si scalda subito e lo accoglie con un’ovazione, quasi ci trovassimo a un meeting grillino. Ma subito dopo, infatti, non manca di beccarlo su alcuni temi scottanti. 

 

Lui, Fico, non si sottrae. Si sente a suo agio e non si scompone più di tanto quando viene contestato. In fondo è un rapporto di amore e odio quello che si consuma fra la platea del Pd e Roberto Fico, per la prima volta a una Festa dell’Unità dopo 15 anni. Qualcosa del tipo vorrei ma non posso. L’amore deluso, frustrato, impossibile da consumare. Non ora, perlomeno. Più avanti, forse.

Fico è accarezzato da molti elettori Pd e di sinistra, vezzeggiato, perchè lo sentono vicino. Ma resta un grillino e, alla lunga, è difficile da digerire qui e ora, quando c’è tutti i giorni da bere l’amaro calice del governo Salvini – Di Maio – Conte.

Già, vorrei ma non posso, come quel dialogo che iniziò il 23 aprile 2018 quando Mattarella diede l’incarico a Fico per esplorare la possibilità di un governo fra M5S e Pd. Il dialogo fu sancito a parole e poi buttato alle ortiche nel giro di poche ore, dopo le fulminanti dichiarazioni contrarie di Matteo Renzi. Il forno del Pd fu subito chiuso e venne riaperto quello della Lega, che ha portato al contratto e all’attuale governo.

Su quel tentativo, la prima domanda del giornalista dell’Espresso Marco Damilano. Come andò? Fu un tentativo vero di dialogo? Poteva esserci un esito diverso e cioè poteva nascere un governo M5S – Pd?

Le risposte sono diverse in alcuni passaggi e nelle sfumature, non nella sostanza: entrambi sottolineano che il dialogo era sincero ma molto molto difficile. Una mission impossible, di fatto. Non lo dice Fico esplicitamente, che sospende in qualche modo il giudizio sulle responsabilità del fallimento, ma ricorda le contraddizioni in casa Pd e le posizioni di chiusura di Renzi. Più esplicito è Delrio, secondo il quale c’erano enormi distanze fra Pd e M5S su tanti temi e poi, soprattutto, pesavano i cinque anni in cui le due parti se le erano date di santa ragione: “Il M5S ci ha attaccato per tutto il tempo accusandoci delle cose peggiori. Gran parte dei nostri elettori e degli stessi elettori grillini non volevano quel dialogo, non lo avrebbero capito. Alla fine se hanno fatto il governo Lega – M5S è perchè quello volevano fare i gruppi dirigenti dei Cinque Stelle e della Lega.”

Insomma è là che volevano andare e là sono andati, perchè c’erano più affinità fra quelle due forze che fra noi e i Cinque Stelle, ha chiosato l’ex ministro Pd, fra gli applausi del pubblico. E subito dopo Delrio ha aggiunto che quelle distanze restano tutte anche oggi, al di là delle posizioni apprezzabili assunte da Roberto Fico su alcuni temi. Perchè i Di Maio e i Toninelli vanno a rimorchio di Salvini, è Salvini che guida l’azione di governo e dà un’impronta di destra a questo governo. E giù altri applausi. 

 

L’azione del governo. Siamo subito al tema della seconda domanda di Damilano. All’attualità, a partire dalla politica estera, dalla Libia, dai migranti, per arrivare alla politica economica e ai mercati, alla flat tax e al reddito di cittadinanza. Che farà il Pd? Vuole incunearsi nelle contraddizioni della compagine giallo-verde per separare grillini e leghisti?

La domanda è servita a Delrio su un piatto d’argento per attaccare il governo su tutta la linea. Su Libia e migranti è sferzante e sprezzante l’ex ministro: “Meno tweet, meno interviste e più lavoro per stabilizzare la Libia” dice, perchè oggi di fronte alla crisi in quel paese l’Italia sembra essere quasi assente. E poi l’affondo: “E sui migranti fatemi dire: non è che sono diminuiti, partono meno persone dall’Africa ma muore il doppio delle persone nel Meditterraneo rispetto a prima, come ci dice l’ONU, e questa cosa è inaccettabile. E poi non si possono chiudere i porti e non si possono sequestare le persone su una nave.” Anche questo è inaccettabile e sostanzialmente illegale.

Poi Delrio ricorda tutte le promesse di Salvini in campagna elettorale e chiede dove sono finite. Quindi aggiunge: “Siamo un paese fragile, la crescita sta rallentanto, stiamo attenti. Abbiamo ancora dei problemi, bisogna fare scelte giuste e responsabili, se no il paese si ferma di nuovo e rischia. Perchè nessuno presta soldi a chi ogni giorno ha un’idea diversa o la spara più grossa.”

Infine la stoccata a Fico: “Non so se riuscirete a fare il reddito di cittadinanza. Avrete bisogno di tempo, in ogni caso. Ma il reddito di inclusione c’è già, lo abbiamo fatto noi per la prima volta e ha già raggiunto due milioni di poveri. Possiamo migliorararlo.” Insomma, intanto provate a migliorare quello, dice Delrio: “Non si può andare al governo facendo finta che prima non ci sia stato nessuno, che il lavoro fatto dagli altri non esista.”

 

 

 

Roberto Fico ribadisce la sua posizione sui migranti e dice che quelli della Diciotti dovevano essere sbarcati tutti. Ma attacca il Pd su Minniti, perchè quegli accordi con la Libia erano accordi scritti sulla sabbia, in sostanza. “Avete raggiunto l’obiettivo dell’80% di partenze in meno, ma avete fatto accordi con i sindaci libici alleati delle bande armate, e chi non è partito è rimasto in Libia, nei lager, venduto, schiavizzato.” Dunque erano accordi inconfessabili, sembra dire Fico, che poi attacca sull’Europa e sugli accordi di Dublino da cambiare. Attacca anche Orban e il gruppo di Visegrad, gli alleati di Salvini, il Presidente della Camera: “L’Europa non può andare in quella direzione, deve andare nella direzione della solidarietà e dei diritti.” Infine ribadisce i suoi tre punti chiave sui migranti: 1) se arrivi in Italia arrivi in Europa; 2) bisogna creare corridoi umanitari; 3) occorre creare dove possibile degli hot spot in Africa per capire là chi ha bisogno di asilo e chi no. 

Damilano punzecchia Fico: perchè quando Salvini la attacca nessuno nel M5S la difende? Fico serafico risponde che non è vero, molti parlamentari e militanti gli hanno espresso solidarietà, ma aggiunge che lui, in ogni caso, non ha bisogno di essere difeso da nessuno, e soprattutto non ha interesse a polemizzare ogni minuto con gli altri. Smettiamo con la logica del rinfacciarci le cose e dello scontro continuo se no non si finisce più, taglia corto.

Damilano lo incalza ancora sulle difficoltà del M5S e del suo capo Di Maio a smarcarsi in qualche modo dal rullo compressore della Lega, alleato scomodo, che viaggia oltre il 30% dei consensi e Roberto Fico risponde in modo molto diplomatico. Con la Lega c’è un contratto di governo, non un’alleanza. Quel contratto prevede di fare delle cose – dice in sostanza il Presidente della Camera – perchè abbiamo un’idea del paese che vogliamo realizzare. Cita l’acqua pubblica. I vitalizi. I rifiuti. I rimborsi elettorali. E altre battaglie del movimento che lui ha costruito e che lui dice di conoscere bene. “Non ci interessa il consenso di oggi, qui e ora. Abbiamo una visione del futuro.”

Ma sull’Europa state con Salvini e con Orban o con Macron? Chiede Damilano.

Fico risponde che il M5S andrà alle elezioni europee da solo, certo non per allearsi con Orban e il gruppo di Visegrad né, però, intende allearsi con la Francia di Macron che chiude le frontiere di Ventimiglia e Bardonecchia. Fra un’Europa e l’altra Fico sembra indicare una terza via. Parla di diritti, popoli, democrazia, cultura, visione di un continente unito ma solidale. Parla lo stesso linguaggio di gran parte della sinistra. Sembra di sentire lo Tsipras di qualche anno fa. 

 

Damilano passa a Delrio e chiede del Pd. Che farà alle europee? Si presenterà senza simbolo? Già che si parla di cambiare anche nome al partito.

Delrio strappa l’applauso scrosciante su queste parole: “Non siamo noi che dobbiamo cambiare simbolo e nome, ma la Lega, perchè ha 49 milioni di euro di debiti con lo stato.”

Parla dell’Europa e non dice cose troppo diverse da quelle di Fico: anche per lui ci vuole un’altra Europa. Delrio però ammonisce e guarda Fico negli occhi quando dice: “Il nostro progetto per l’Europa è chiaro. Noi vogliamo più Europa, un’Europa più forte, non la vogliamo rompere. Se prevale l’idea sovranista e nazionalista, se prevalgono i dazi l’Europa muore. Le nostre imprese hanno bisogno dell’Europa e hanno bisogno dell’interscambio con la Germania e con la Francia che sono i nostri principali partner commerciali.” Dunque, attenti grillini e leghisti a fare la guerra ai nostri alleati economici, o attenti a tagliare la Tav, mette in guardia l’ex ministro.

Sul Pd Delrio dice poche cose e piuttosto ecumeniche: “Raddrizziamo il Pd. Non c’è bisogno di cambiare nome.” Poi aggiunge: “Non c’è nessuna proposta politica che possa stare in piedi senza unità.” E cita Prampolini, uniti siamo tutto, divisi siamo nulla.

Si chiude su Giulio Regeni e sulla tragedia di Genova.

Su Giulio Regeni parla Fico: ribadisce la sua vicinanza alla famiglia e la sua ferma richiesta dell’Italia di chiedere verità e giustizia. Lui continuerà a battersi per questo e assicura che anche il M5S lo farà. Su Genova dice che lui ha incontrato i familiari e ha chiesto scusa a nome dello Stato, perchè è un atto dovuto a quelle persone. E aggiuge che le responsabilità della tragedia vanno accertate e i colpevoli puniti.

Delrio stigmatizza il clima di caccia alle streghe creato da Lega e M5S dopo la tragedia del ponte Morandi, una cosa terribile e senza precedenti così come le “terribili bugie” che sono state dette per additare all’opinione pubblica dei capri espiatori. Ha ribadito che chi governa non può lanciarsi in processi sommari, ha la responsabilità di rappresentare tutto il paese, di unirlo, non di dividerlo. Infine ha chiuso con il richiamo alla necessità di costruire un’alternativa seria per il governo e il futuro del paese.

In conclusione, è stato un dibattito interessante, un duello senza vincitori né vinti. Delrio giocava in casa e ha giocato bene le sue carte. Fico giocava fuori casa e ha goduto di una certa benevolenza ma quando è stato messo sotto pressione si è difeso bene. Entrambi sono stati diplomatici ed hanno evitato comunque di affrontare i temi più spinosi e divisivi per il loro fronte interno: Fico quello del rapporto con l’ala governista del movimento Cinque Stelle incarnata da Di Maio, Delrio quello del rapporto con Renzi, Martina e Zingaretti, insomma del congresso e del futuro del Pd.

 

A cura di P. G. C. 

 

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